Se l’inflazione cresce, cosa cambia per le aziende e come proteggersi?

Scritto il 11/01/2022
da Francesco Messina

Strategie aziendali con Inflazione in crescita

C’è da preoccuparsi nel breve periodo di una riduzione del potere d’acquisto della moneta?

Ultimamente sentiamo parlare di inflazione. In questo articolo cerchiamo di rispondere a due domande:

1) Cosa sta cambiando nel quadro macro economico?
2) A quali aspetti deve porre attenzione l’impresa?

Partiamo dal primo punto

L’inflazione è un aumento generalizzato e prolungato dei prezzi che porta alla diminuzione del potere d’acquisto della moneta e quindi del valore reale di tutte le grandezze monetarie. Giusto per fare un esempio, se prima erano sufficienti 2 euro per comprare un litro di latte fresco, con un aumento del 20% dell’inflazione in un anno, pur se la domanda di latte non è aumentata e l’offerta di latte non si è ridotta, dopo un anno saranno necessari 2,40 per comprare lo stesso litro di latte; questo ci aiuta a comprendere cosa vuol dire che il potere d’acquisto si riduce; ma il problema sul quale le politiche monetarie devono porre in atto correttivi è che l’inflazione alimenta spirali. Una inflazione strisciante, quando la crescita dei prezzi è contenuto tra l’1% e il 2% non solo non preoccupa, è addirittura considerata utile per lo sviluppo dell’economia perché stimola le vendite, la produzione e la ricerca di produttività. Quando l’inflazione supera il 10% comincia a diventare pericolosa, al primo aumento ne seguono altri e si avvita ad una velocità sempre maggiore.

Diventa abbastanza intuitivo comprendere quali siano le conseguenze per i consumatori, per i risparmiatori e per le imprese. Ne discuteremo più avanti.

Secondo la BCE l’inflazione nell’eurozona a novembre si è attestata al 4,9% di cui il 55/60% da attribuirsi ai prezzi dell’energia. I prezzi al consumo negli Stati Uniti sono cresciuti del 6,8% nel 2021. La presidente della BCE Christine Lagarde ha dichiarato che l’inflazione è una “gobba” (fonte Financial Times 4 nov. 2021) e le gobbe, notoriamente prima salgono e poi scendono. Stesso pensiero è stato condiviso da Jerome Powell, presidente della Fed, fino a dicembre. Alla fine del 2021 ha dovuto ammettere che “la corsa dei prezzi non è più temporanea”. Questo è il punto: l’aumento dei prezzi, in un primo momento considerato temporaneo, potrebbe diventare una costante nei prossimi anni.

Proviamo a mettere in fila alcuni fatti.

Il lockdown generalizzato su scala planetaria, effettuato per fornire una prima risposta al Covid 19 ha frenato nel 2020 la produzione e i consumi: le industrie ferme, gli aerei a terra, le navi ferme nei porti hanno condotto ad una forte contrazione dei consumi, nel marzo 2020 il prezzo del petrolio scese a -37 dollari al barile. Per ogni barile, chiunque l’abbia acquistato è stato pagato 37 dollari! Al largo delle coste le petroliere cariche facevano da depositi temporanei anziché trasportarlo a destinazione.

Poi l’economia ha ripreso il suo corso, le persone hanno risparmiato molto nel 2020 e anche nel 2021. Basti pensare che solo in Italia i depositi bancari hanno toccato quota 2000 miliardi. Una enorme quantità di denaro pronta ad essere spesa o investita. E appena sarebbe stato possibile spenderli, ecco che il meccanismo si è inceppato nel senso opposto: molte materie prime si sono rese indisponibili quando i consumatori sarebbero stati pronti a comprarle.

Per capire cosa accade dopo il lockdown può essere utile fare un parallelismo con quanto accadde dopo la Prima guerra mondiale. Anche in quel caso, durante il conflitto si assistette ad una forte contrazione dei consumi e allo spostamento delle imprese dal settore civile al settore bellico. Una volta che la guerra ebbe termine, le industrie furono costrette alla riconversione e alla ripresa dei consumi civili non si accompagnò l’immediata offerta di beni. Quando la domanda supera l’offerta i prezzi crescono. Questo fenomeno non fu temporaneo e produsse una fortissima spinta inflazionistica, secondo gli storici fu una delle maggiori motivazioni che condussero alle tensioni poi sfociate nella seconda guerra mondiale.
Anche in tempi moderni, abbiamo assistito ad una forte contrazione dei consumi civili, alla riconversione di molte aziende in settore di contrasto al Covid (produzione di mascherine, produzione di prodotti a base alcolica) e alla chiusura di interi settori per via dell’assenza di domanda. Si pensi che il settore del turismo ha pesato circa il 10% sul Pil nazionale senza contare l’indotto. Per evitare che tale contrazione si avviasse verso elevati livelli di disoccupazione, gli Stati hanno immesso forti liquidità nel sistema foraggiando spese correnti e investimenti, hanno impedito il licenziamento dei dipendenti e il mantenimento dei livelli occupazionali.
Appena il lock down generalizzato è venuto meno i consumi sono ripartiti, ma le imprese non hanno immediatamente offerto ciò che veniva loro richiesto, mancando molte materie prime, questo ha acceso la miccia ed è troppo presto per comprendere se le politiche monetarie poste in essere dalla FED e dalla BCE saranno in grado di contrastare tale fenomeno. Raffreddare i consumi in questa fase sarebbe pericoloso, potendosi ottenere una stagflazione (disoccupazione ed inflazione). Quali mosse porranno le banche centrali non è noto, ma si ritiene che abbiano tutti gli strumenti per non far cadere l’economia né lungo il pendio dell’iper inflazione, né lungo quello della disoccupazione. Lo scopo di questo articolo è di valutare quali armi sono a disposizione di imprese ed investitori in un contesto così improvvisamente mutato.

L’inflazione è un fenomeno che da tempo non si vedeva nel contesto europeo e americano, possiamo dire che un’intera generazione di imprenditori non abbia confidenza con essa e ciò è da considerarsi pericoloso perché potrebbero prodursi scelte poco ponderate.
Per i consumatori al crescere dell’inflazione si avrà una riduzione del potere d’acquisto (la stessa quantità di latte che costa sempre di più dell’esempio di cui sopra). I creditori che abbiano contratto mutui a tasso fisso vedranno ridursi il valore del credito e, di converso, i debitori vedranno un minor valore del proprio debito. Investire in titoli di Stato con tassi di interesse fissi così bassi rischia di essere un pessimo investimento, ad esempio. Diversamente, i contratti “index linked”, a tasso variabile, andranno di pari passo con l’inflazione sterilizzandone gli effetti.

C’è da dire che la situazione in USA ed in UE è molto differente di quella di paesi come il Cile o l’Argentina, o anche la Turchia che hanno un’inflazione strutturale e uno sfondo politico-sociale molto differente. Il pericolo che l’inflazione sfugga di mano in Europa è remoto, la BCE è comunque in grado di intervenire e non potrebbe non farlo.
Il vero pericolo è un altro: il rapporto di forze tra chi desidera la prosecuzione di politiche espansive e chi vorrebbe invece tornare al rigore (ovvero a politiche tendenzialmente recessive – quelle che rafforzano i forti ed indeboliscono i deboli; quelle che l’Italia ha a lungo subito) si potrebbe modificare a vantaggio dei secondi (magari spalleggiati dalla paura irrazionale dei paesi dell’est). Considerando tuttavia l’attuale assetto politico dei principali paesi, anche questo pericolo non pare imminente. Casomai potrà verificarsi un compromesso, un po’ sulla falsariga di quello che Francia ed Italia stanno cercando di ottenere in materia di debito pubblico e di bilancio.

Dunque?

Innanzitutto “no panic”. Potrebbero emergere fenomeni speculativi (soprattutto in certi settori: quelli di cui si parla semiconduttori, terre rare, materie prime in generale). In altre parole: il mondo in cui ci troviamo da qualche tempo è meno “oliato” di quello che avevamo prima. Ora ci cominciamo a rendere conto che potrebbe non essere un fenomeno temporaneo come (da umani desideranti) abbiamo pensato finora. Per ora si vede soltanto un po’ d’inflazione in un mondo meno ordinato, più rischioso e più incerto. Ma anche più flessibile.

A livello manageriale, quindi, dobbiamo assumere un atteggiamento cauto e padroneggiare alcuni temi. Ecco alcuni esempi di strategie aziendali con inflazione in crescita.

Supply Management
Nei settori che vedono un aumento costante dei costi delle materie prime (pensiamo al settore edile) è necessario dedicare un’attenzione crescente alla capacità di pianificazione da parte della produzione, alle capacità di scouting dei fornitori alternativi da parte dell’ufficio acquisti ed è necessario costruire un sistema di pianificazione sempre più “just in time”. Se avere del denaro immobilizzato in un magazzino con prodotti slow moving è sempre un danno, adesso lo è ancora di più. Certo, si potrebbe ritenere che avere un magazzino molto corposo possa essere un vantaggio competitivo, ma nella nostra esperienza, in mercati sempre più mutevoli, con tassi di interesse tendenzialmente in crescita, non è saggio imbarcare l’azienda in speculazioni che possono dare ottimi risultati o disastrose perdite. La componente speculativa può trascinare verso il basso l’impresa, allontanandola dai suoi fondamentali. L’azienda dovrebbe tendere ad assicurarsi contro tutti i rischi non direttamente connessi al proprio specifico business e non imbarcarsi in acquisti potenzialmente pericolosi.
Si nota una attenzione crescente ai software di pianificazione degli approvvigionamenti ad un certo superamento degli MRP base, a capacità infinita, verso MRP a capacità finita.

Sales Management
Le imprese possono scaricare l’aumento dei costi delle materie prime e degli stipendi aumentando i prezzi del proprio listino. L’aumento dei prezzi di vendita, tuttavia, tale adeguamento del listino non è un automatismo. Se non si trova il modo di coinvolgere i propri clienti comunicandolo per tempo si rischia di non aumentare i prezzi del proprio listino per un tempo troppo lungo, costringendo l’impresa ad effettuare all’improvviso degli adeguamenti che la propria clientela faticherà a digerire. L’impresa deve saper comunicare ai propri clienti i nuovi aumenti con costanza, attuando delle strategie mirate, capaci di coinvolgere la rete vendita. Se l’esigenza è quella di far crescere i prezzi a partire dal mese prossimo, sarà necessario comunicarlo per tempo ai propri clienti suggerendo di effettuare gli acquisti entro il mese se vogliono godere del prezzo precedente.

Pianificazione del valore delle rimanenze
La valorizzazione delle scorte a fine anno, ai fini del bilancio svolta in assenza di inflazione può essere LiFo o FiFo senza che ciò abbia impatto. Viceversa, in periodi di forte inflazione tale metodologia di valutazione può fare la differenza. Il metodo FiFo tenderà a fornire un valore di magazzino più alto del metodo LiFo.
Se, ad esempio, all’inizio dell’anno abbiamo comprato materie prime a 100 e le stesse materie prime alla fine dell’anno a 200, valorizzandole tutte con il metodo LiFo vorrà dire che sono tutte valorizzate al prezzo più vecchio, con il metodo FiFo, tutte valorizzate al prezzo più recente. I due metodi possono condurre a due valorizzazioni parecchio differenti.

Pianificazione finanziaria
La pianificazione finanziaria e il ruolo del CFO cresce ancora. Vi saranno mutui e fidi da ricontrattare, piani industriali da rivedere, flussi di cassa attesi che potranno essere fortemente influenzati dal cambio nei tassi di interesse.

HR Management
La pressione esercitata dalle risorse umane può condurre ad un aumento degli stipendi, sarebbe utile collegarla alla definizione di obiettivi affinché l’aumento venga vissuto come un premio capace di indurre a comportamenti virtuosi. Al tempo stesso trovare figure nuove da assumere rischia di divenire più difficile, perché l’aumento dei prezzi induce le imprese ad inseguire la domanda e ad assumere un maggior numero di dipendenti, per tale ragione non è facile trovare persone di buona qualità a salari ante inflazione. Strutturare un percorso di crescita adeguato, premiale, è un altro fondamentale asset strategico per le imprese che vogliano competere in un rinnovato scenario competitivo.